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25/10/2024
I dati emersi dal 4° Paper del Rapporto Family (Net)Work
È stato recentemente presentato il 4° Paper del Rapporto Family (Net)Work a cura di Assindatcolf (Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico), in collaborazione con la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, dal titolo “Lavoro domestico e welfare familiare: a rischio la tenuta di sistema”. L’indagine è stata svolta nel mese di luglio su un campione di 2.015 famiglie aderenti ad Assindatcolf e Webcolf.
I DATI
Un primo dato evidenzia segnali di crisi del lavoro domestico, il cui settore, tra il 2021 e il 2023, ha registrato 145 mila occupati in meno (dati Istat). Per quanto riguarda la domanda, si è passati da 2 milioni e 600mila famiglie che si sono avvalse di colf, badanti e baby-sitter nel 2011, a 1,9 milioni del 2022. Calo delle nascite e diffusione dello smart working le probabili cause che hanno impattato sulla domanda di servizi di collaborazione, in particolare per quelli legati alla prima infanzia e alla cura della casa. Ma soprattutto, a pesare è la difficoltà a sostenere i costi per l’assistenza di parenti non autosufficienti.
Secondo l’indagine Family (Net)Work, le famiglie che si avvalgono dei collaboratori domestici registrano un affanno crescente nel far fronte ai costi di tali servizi. Costi che in molti casi assorbono una quota rilevante del reddito familiare e risultano ormai insostenibili, non solo per le famiglie a basso reddito, ma anche per il ceto medio (le famiglie che fanno fatica a sostenere queste spese passano dal 27,9% del gennaio 2023 al 55,2% del luglio 2024).
Il 57,7% delle famiglie dichiara che il costo per la badante assorbe oltre il 50% del reddito disponibile e il 32,4% afferma che questo supera il 70%.
D’altro lato, lo studio evidenzia come l’aumento dei costi per i servizi di assistenza e cura forniti dai collaboratori determini, soprattutto da parte delle donne, la rinuncia al lavoro per dedicarsi alle attività di assistenza. Negli ultimi 5 anni, a fronte di un incremento significativo dell’occupazione femminile e, complessivamente, della partecipazione al lavoro delle donne è cresciuta la quota di donne che rinunciano al lavoro per motivi di carattere familiare.
Queste passano da 2.525.000 del 2018 a 2.659.000 del 2023, registrando un forte aumento tra le 55-64enni (+219 mila, il 34,7% in più rispetto al 2018), fascia d’età nella quale possono potenzialmente concentrarsi diversi carichi di cura, verso genitori anziani, nipoti, coniuge.
Una delle criticità segnalate dall’indagine è la riduzione delle figure disponibili sul mercato, nonostante l’aumento della domanda legata alla non autosufficienza. Soprattutto sono diminuiti gli arrivi dai Paesi tradizionalmente “fornitori”, quelli dell’Est Europa, e l’innalzamento della condizione occupazionale degli stranieri rende più appetibili altre professioni.
Inoltre, tra le principali difficoltà che le famiglie segnalano al momento dell’assunzione di un collaboratore domestico, dopo i costi, il 68,7% evidenzia la difficoltà di reclutamento della persona “giusta” e il 21,5% denunci la mancanza di figure disponibili a svolgere tale lavoro.
Altro elemento segnalato dallo studio è la difficoltà di ricambio generazionale tra i lavoratori domestici. Nel 2014 la quota di giovani con meno di 40 anni era del 31,1%, nel 2023 questa risulta dimezzata, mentre aumenta significativamente quella dei collaboratori con più di 60 anni, passata dal 9,2% al 23,9%.
Questo andamento è ancora più marcato per le badanti. Se nel 2014, su 100 occupate, 24 avevano meno di 40 anni e 12 più di 60 anni, nel 2023, la quota under 40 è scesa al 14,2%, mentre quella over 60 è salita al 29,1%. Quasi un terzo dell’attuale corpo di badanti lascerà il lavoro nei prossimi cinque-sei anni.
Infine, così come ha evidenziato l’Istat, lo studio si sofferma sul problema del sommerso: si stima che la quota di irregolarità nel 2023 sia il 54%. Il lavoro domestico rappresenta il 38,3% dell’occupazione irregolare dipendente in Italia e genera un costo per la collettività pari a quasi 2,5 miliardi di euro all’anno (1,5 miliardi di euro derivanti dal mancato gettito contributivo e 904 milioni di euro annui dall’evasione Irpef).
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